Per me è sempre un piacere, trovandomi in Aquila, di passeggiare nelle ore propizie della sera, tra le sue antiche mura, evitando, se possibile, i portici del centro e i viali dominati dal traffico dei motori.
Nonostante alcuni disastrosi terremoti, e forse grazie alla gracilità della sua vita economica, (che conobbe la floridezza solo agli inizi, col commercio della lana), la città ha conservato, in larga misura, nei suoi quartieri più antichi, un carattere medioevale.
Non alludo al castello e alle grandi chiese ( San Bernardino, S. Maria di Collemaggio, il Duomo), che tutti giustamente ammirano, quanto al dedalo di vicoli, scalinate, piazzuole, giardinetti, degli antichi quartieri di Santa Giusta, Santa Maria di Paganica, San Pietro Coppito, San Marciano, che i forestieri di solito trascurano.
Chi si aggira, senza un itinerario preciso, per quei vicoli puliti, silenziosi, discreti, ad ogni passo incontra fondachi e case, anche modeste, con porte, finestre, lunette, di fine eleganza, fregiate di stemmi patrizi che vanno dal XIV al XVIII secolo, oltre al frequente monogramma raggiato del nome di Gesù (IHS) che ricorda la predicazione di San Bernardino.
In quelle antiche case si ha ancora assidua cura delle forme più raffinate dell’artigianato, come il ricamo, che fa parte integrante dell’educazione familiare delle ragazze.
C’è anche da dire che, ricchi o poveri, gli abitanti di quei vicoli hanno, per la scarsa immigrazione, qualcosa di comune ed ereditario nel carattere, in cui il tratto più notevole, specialmente nelle donne, mi pare la fierezza.
So bene che certi abruzzesi di altre città rimproverano appunto agli aquilani l’orgoglio; ma, con i tempi che corrono, lo si può considerare un difetto?
Comunque, dev’essere, ripeto, una disposizione atavica, se gli spagnoli vi eressero un munitissimo castello, non per difendere la città, ma per intimidirla, come dichiarava una lapide ora sparita: «ad reprimendam audaciam aquilanorum».
La terra e la gente