Commemorazione dell’avvocato Pietrantonio Palladini
(Parole pronunciate il 27 agosto 1978 per Ignazio Silone a Pescina).
FRATELLI, AMICI, I monti della Marsica aprono le loro braccia granitiche per raccogliere e serrare le ceneri di Ignazio Silone. E qui l’Urna avrà perenne gioia di gratitudine, ora che gli uomini, increduli o distratti, comprendono la sua grandezza ed imparano ad amarlo cosi come egli li amò.
E’ il destino dei grandi spiriti quello di rivelarsi quando la morte pone termine alla loro vicenda terrena; e come sarebbe meglio tacere per cogliere la loro immensa e gravosa eredità, in raccolto silenzio.
Ma I’esigenza dei cuori fraterni vuole che un saluto, e non I’ultimo, sia pur dato. Non una commemorazione quindi, che sarebbe sempre di povero contenuto, ma un incontro amichevole di quelli che prediligeva, soprattutto quando a farglisi incontro erano i giovani che varcavano la soglia della sua modesta casa.
Per sua determinazione, ha voluto far ritorno nella sua terra dopo il lungo viaggio imposto all’uomo dalla persecuzione politica, dal bisogno, dalla spietata lotta e dall’esigenza di portare altrove il suo spirito di fraternità, la sua fede e la speranza nel successo della lotta per la liberta e per la giustizia.
Tornando qui, ci ha fatto dono di se stesso, dopo aver profuso tutta la ricchezza del suo animo, la ricchezza invisibile, che conquista la pace e la protezione delI’uomo, senza chiedere in cambio niente altro che il rispetto dei valori morali, nella lealtà nei rapporti, crucciato solo di non aver assecondato le istanze particolari, di non aver fatto piaceri personali, non solo perché non aveva il potere, ma per la sua incapacità a scendere a compromessi o patteggiamenti.
E’ tornato qui perché nella morte, che idealmente rinnova la vita, fa riconoscimento dell’amore fraterno degli umili, dei perseguitati della sua contrada, che hanno saputo progredire e diventare degni del suo insegnamento, e per significare che potendo rivivere la sua esperienza terrena riprenderebbe a percorrere le stesse vie, aspre e dolorose, con gli stessi compagni di ieri, che qui trovo fedeli durante le lotte comuni e che seppero raggiungere con lui vittoriosi traguardi.
La sua formazione spirituale ebbe inizio in questa terra, quando ancora bambino provò il primo dolore e I’intima rivolta per I’impunità di cui godette un signorotto il cui cane aveva morso una bambina. Nei primi anni di scuola, quando insieme giocavano sul Ponte Sacchetta a guardie e ladri, se ne restava appartato e rispondeva ironico, a chi lo sollecitava a prendere parte al gioco, di Lasciarlo in pace perché non era un guardia che toglie la liberta alla gente tanto meno un brigante in rivolta contro Dio e gli uomini.
Qui scelse sempre le vie del dolore, le cercò sia che scrivesse, all’età di otto anni, lettere ad un ergastolano con accenni materni, nella disperata, tensione di far conoscere una verità, senza luce, sia che si introducesse nel la Lega del Contadino, a pochi passi da casa sua, ribollente ogni sera di sperate proteste contro lo sfruttamento bracciantile, nell’ampia e tenebrosa sede del Palazzone sul cui fondo spiccava una grande immagine di Cristo nella clamide rossa.
Qui visse il dolore di tutti e per tutti, quando il terremoto lo colse nel seminario, dove con grandi meriti dimostrava una particoIare attitudine nello studio dei classici ed in quello della teologia, attitudine della quale resta vivida e perenne la traccia in tutti i suo scritti. Quando tutto rovinò intorno a lui; e fu un miracolo che non morisse, senti spegnersi ogni speranza, avendo perso a quindici anni anche la madre e due fratelli, oltre a numerosi altri parenti.
Orfano tra tanti orfani, seppe riaccendersi alla speranza, quando vide su questa strada Paolo Marso, ammantata di rovine, un piccolo, frenetico prete, requisire per suo conto, con maniere assai spicce, una delle vetture del seguito reale, che inopportunamente invadeva un piccolo largo realizzato dai soldati, e riempirla di fanciulli cenciosi, rimasti soli a piangere la loro disperazione.
Quel piccolo prete era Don Orione, la rivelazione di Gesù che porge le sue braccia ai derelitti, costi quel che costi. Ed inconsciamente intuì fin d’allora che cristianesimo e socialismo potevano coesistere e non per alleanze tattiche ma per una profonda convergenza, spirituale ed etica, delle rispettive visioni del mondo.
Soccorso dalla indimenticabile nonna, conoscerà in seguito la gelida ’prigione’ di un convitto romano e vivrà la gioia della prima fuga verso la libertà, o, se volete, verso il primo amore, inseguito per la prima volta dagli agenti che, allora doverosamente, stroncarono il suo primo sogno.
Tornerà dopo qualche tempo, arricchito di nuove cognizioni e di nuove esperienze, tra la gente umile ed insieme coraggiosa e fiera del Castello, che sempre stata la rocca dei lavoratori ribelli, tenaci nelle fatiche, onesti nei costumi, inflessibili nella pretesa del rispetto dei diritti dell’uomo. E Tornerà a sperimentare fra queste mura il dolore delle donne che vedono imprigionati i soldati venuti dal fronte ed insorte per chiederne la liberazione nella rivendicazione di una più umana e comprensiva valutazione degli affetti e dei diritti.
Ha 17 anni quando insorge contro le corruzioni ed i privilegi palesati dai funzionari venuti a stimare i danni del terremoto, contro la indifferenza di costoro aIle invocazioni dei diseredati rimasti senza lavoro. E’ in questo periodo che si rivela efficace corrispondente dell’Avanti, e Menotti Serrati pubblica in grande rilievo due suoi articoli, mentre un terzo incappa nelle maglie della censura. Cercava le situazioni difficili, le cause disperate.
Comincia a comprendere il significato del potere che tarpa le ali e mette il bavaglio alla verità: entra cosi nel vivo della lotta politica e rappresenta al Congresso del 1921 la Gioventù Socialista. Diventa oggetto di rappresaglie allorquando, dopo la creazione del Partito Comunista, viene a trovarsi nelle file di questo nuovo partito per uscirne dopo alcuni anni, al tempo dei primi contrasti tra Trotskij e Stalin, quando vide compromesso il dovere verso la verità, che per lui veniva prima della disciplina di partito, non riuscendo a tollerare che Trotskij venisse espulso con accuse speciose e con il divieto di prendere la parola a propria difesa. Maturò allora la convinzione che non potessero conciliarsi il socialismo libero ed universale con il fanatismo e la intolleranza dogmatica.
Ma tutto ciò, pur avendo creato in lui motivi di profondo dolore, per il forzato distacco dai compagni di lotta, non determinò un allontanamento dai principi fondamentali della ideologia socialista, che anzi trasferì nei libri e nei romanzi, accentuando il tema fondamentale della difesa della liberta quale espressione sovrana di fraternità tra i lavoratori. Non accettò mai polemiche oltraggiose o inutili, sostenendo sempre il principio della unità della lotta.
E questi ideali prendono forma drammatica nei personaggi dei suoi scritti, combattenti contro il. fascismo, contro la tirannide, creati a sua immagine, carichi di dolore e di sofferenza, ma ispirati tutti da un principio di giustizia e di liberta e tutti rivelatori dell’impronta forte ed incisiva della sua vita esemplare, senza macchia.
Egli scrisse e ripeté dalla radio svizzera che si può vivere ed essere liberi anche in paesi a regime dittatoriale, a condizione pero di lottare contro la dittatura, e che l’uomo che pensa con la propria testa e conserva il suo cuore incorrotto e libero, cosi come può essere schiavo, in un paese libero, un uomo servile e pigro.
I protagonisti delle sue opere, scritte in esilio, questi cavalieri dell’ideale, sono con noi in questo incontro, e fra poco, quando andremo a prendere contatto con la sua urna, parteciperanno non ad un corteo, perché ciò non gli sarebbe piaciuto, ma ad un pellegrinaggio in cui tutti, insieme, con questi fiori e questa corona che Sandro Pertini ha affidato a questi giovani, non come omaggio dell’autorità, ma come espressione dell’affetto suo e del Paese, andremo incontro a lui.
E’ con noi Pietro Spina, banditore della libertà quale valore supremo ed incancellabile dell’uomo, che ha il dovere di rivendicarla fino alla morte, dal momento che non con soluzione di continuo tra la liberta e la giustizia.
Sono con noi tutti i contadini del ’ 1950, alfine sollevati dal dolore, dall8 miseria e dalle umiliazioni, consapevoli ormai del significato del loro riscatto, per aver compreso, con Silone, che il dolore non sarebbe stato più insopportabile, nella povertà avrebbe significato una vergogna, se ed in quanto vissuti con quella dignità che porto ad una delle più significative vittorie dei lavoratori della terra.
E di essi, al pari di noi tutti che costituimmo i comitati di agitazione, nessuno potrà dimenticare il decisivo apporto di Ignazio Silone a quella lotta, con le sue opere, con la propaganda, con la fedele collaborazione della sua compagna Darina che porto tra i contadini i più accreditati giornalisti stranieri, i quali diffusero in tutto il Mondo la validità di quella lotta, la sua giustezza, contribuendo ad accelerare quel processo rivoluzionario, che poteva rischiare di fallire.
Cammina con noi Berardo Viola, che avendo consolidato la coscienza della propria dignità, comprende come l’uomo si realizzi nel cu1to della liberta, e non esita, egli contadino, a fare olocausto della vita, attribuendosi responsabilità altrui nel movimento rivoluzionario, nel quale il combattente perde la propria identità fondendosi nella causa comune.
E passa qui Romolo Tranquilli, giovane e bello, diletto fratello di Ignazio, che a 18 anni piego, per dignità e fierezza di confessati ideali, al rispetto, gli stessi spietati aguzzini che lo avviarono alla morte. E ad Ignazio, il quale da lontano, in quel 1929, gli faceva considerare l’assurdità di confessare una attività politica impossibile in Italia fra tanto spiegamento di polizia, rispose che si comportava come egli stesso si sarebbe comportato, con il desiderio di andare oltre la verità per non sembrare pavido. E passa la vecchia e sparuta guardia Tiotskista, i fedeli della prima età da G. Battista Barbati a Parisse Vincenzo, a Goffredo Sambenedetto, Romolo Scarsella, Pomponio Tranquilli, Florindi, vivi o morti che siano.
E passano tutti gli altri di questa contrada e quanti altri nel Mondo hanno recepito il messaggio di Ignazio Silone, perché i personaggi del mondo poetico di Silone appartengono alla umanità intera, perché i luoghi da lui menzionati, non trovano collocamento e non hanno riferimenti specifici nelle carte geografiche, ma appartengono a tutte le latitudini e si trovano in ogni angolo della Terra.
II dolore umano e universale, universale l’anelito alla libertà, in ogni latitudine ed in ogni tempo vi sono sempre uomini destinati al sacrificio per un ideale di giustizia, di amore e di liberta. Libero nella fede, libero nella scelta degli amici, libero nel suo socialismo senza attributi e nella sua religiosit5 che vivifica e non deprime lo spirito, ha voluto liberamente scegliere anche il luogo per la sepoltura delle sue ceneri. Li nella parte più pura e più nobile della nostra contrada, fuori dalle mura, al di la del cancello che custodisce e serra, il libero dialogo con la natura, nella consapevolezza della perennità della lotta di cui resta simbolo e con la speranza che si plachi il suo cruccio per non aver potuto dire tutto quello che era nel suo animo a rendere compiutamente il suo messaggio.
E la furente tramontana di Forca, tante volte affrontata dai suoi eroi, sempre inseguiti, farà eco, con arpeggiamenti vibranti, alle voci di tutti i derelitti e sibilerà fra le bifore della casa ove Giulio Mazzarino pur nella sua grandezza attende una più umana Giustizia che lo sollevi dal suo dolore e dalle sue angosce, e sbriciolerà i superstiti monconi della torre Piccolomini travolta dall’impatto della lotta vittoriosa contro il feudalesimo, e dissotterrerà la tua urna, Ignazio, per portare le tue ceneri fin oltre gli sconfinati orizzonti come il polline delle nuove primavere.