
Nuovo incontro con Mazzini
Anche gli scritti minori, come si è potuto gia rilevare, ci aiutano a far luce su quel travaglio. Al punto in cui siamo, nella lettura cronologica delle opere siloniane, riuscira utilissimo soffermarci sul saggio Nuovo incontro con Giuseppe Mazzini (Pensieri su alcune difficoltà della nostra epoca), che, nella traduzione inglese di Arthur Livingstone, tra il ’38 e il ’39, viene pubblicato in Inghilterra, negli Stati Uniti e nel Canada, riscuotendo molti consensi. Si tratta, in effetti, di una introduzione critica di circa venti pagine ad un’antologia di testi mazziniani, che Silone si propone di rileggere per assolvere ”al bisogno, sempre costante negli uomini che lottano per il proprio avvenire, di guardarsi ogni tanto indietro e di rifarsi continuamente la propria storia”.
Del Mazzini, sarà bene ricordarlo, Silone si era occupato fuggevolmente negli scritti giovanili apparsi su ”Lo Stato Operaio” e lo aveva giudicato con durezza perché, a suo dire, egli era troppo sensibile alle urgenze spirituali e ben poco alle questioni sociali. E’ stato poi appena citato nei dialoghi de La scuola dei dittatori, con riferimento alle figure mitizzate della storia risorgimentale. Riprendendo ora in esame alcuni aspetti del suo pensiero, Silone mostra subito d’essere mosso da ben altre ragioni. A ben riflettere, non dovrebbe stupirci: e passato un decennio molto laborioso e difficile, attraverso il quale egli ha dovuto quasi ricostruire la sua anima in frantumi.
Silone si riaccosta a Mazzini, dunque, con spirito più sereno e soprattutto con 1’intento di far chiarezza tra le varie e opposte parti che ne rivendicano l’eredità spirituale. Detto che, tra il 1831 e il 1849, egli era divenuto ”un simbolo e una bandiera”, non solo della ”Giovane Italia” ma anche di una ”nuova Europa”, quando poi l’unita nazionale ”prese a realizzarsi, non per le vie rivoluzionarie e repubblicane da lui preconizzate, non come storia sacra di Dio e popolo, ma sotto la guida del Cavour e l’egida della dinastia piemontese”, con l’appoggio di potenze straniere, allora la sua sorte subì una ”improvvisa eclissi”. Immeritata, senza dubbio, a parere di Silone. Anche sulla ”questione sociale” Mazzini parve destinato a subire uno scacco dalla storia: i rimedi ”utopistici” da lui proposti sulla scorta del socialismo umanitario dei sansimoniani, furono combattuti e superati dalle tesi rivoluzionarie di Marx e Bakunin fatte proprie dalla prima Internazionale dei lavoratori, fondata in quegli anni.
Gli eventi successivi della storia italiana ed europea, tra Otto e Novecento, secondo Silone, ”aggravarono il distacco delle nuove generazioni dall’insieme delle idee e dei sentimenti in cui il mazzinianesimo era fiorito”. Perfino coloro che più tardi continuarono a dirsi mazziniani, si limitavano a ripeterne ”alcune formule politiche”, senza professare ”l’intera religione romantica del Maestro”. S’impone pertanto, a parere di Silone, un riesame critico del pensiero mazziniano, non per ricavarne delle ”ricette per i mali presenti”, ma per tentare di dedurne gli insegnamenti ”d’una spiritualità durevole quanto il genere umano”. Volendo, innanzitutto, verificare se nelle sue pagine vi sia ancora qualcosa di vivo e di attuale, bisogna – osserva Silone – credere che sono molto ”lontane da ogni concezione moderna” le idee che il Mazzini ebbe sui rapporti tra letteratura e politica. Sebbene fosse ”fornito d’una vera disposizione alle lettere e alla critica d’arte”, come provano gli scritti giovanili e i saggi più maturi apparsi su riviste inglesi durante l’esilio londinese, Mazzini rinunciò a impegni e progetti letterari per dedicarsi totalmente alla politica, nella persuasione che la dove non vi sono patria e liberta, si possono avere solo ”profeti d’arte, non arte”. Rinuncia, la sua, coerente con la visione tutta romantica della vita intesa nel suo nesso indissolubile di pensiero e azione, come dedizione assoluta alla causa del riscatto nazionale.
Contro la ”tradizione cortigianesca di una letteratura ornamento e passatempo di classi ricche”, Mazzini voleva una ”letteratura profondamente riconciliata col popolo, una letteratura militante, con una funzione nazionale ed etica”. Egli intendeva cosi rispondere a quella che riteneva una urgenza storica imprescindibile, dettata dallo spirito risorgimentale. Ma, a distanza d’un secolo circa, e lecito, e possibile, e doveroso seguire l’insegnanento che ne deriva? Silone se ne sente coinvolto nel più profondo, pur non potendo sfuggire a dubbi e perplessità: ”Anche in un ambiente storico più progredito, il dilemma che condusse il Mazzini a preferire l’azione diretta alla letteratura, si ripresenta ad ogni scrittore nel cui spirito il gusto del bello sia associato all’amore della verità e al bisogno d’essere utile.
In tempi di schiavitu ha un senso scrivere? E per chi scrivere? Non sarebbe più degno lottare, cospirare, chiamare alla rivolta? Triste mestiere: vi sono quelli che muoiono per la liberta, e altri che scrivono su quelli che muoiono”. E aggiunge, in via parentetica: ”(Pero vi sono stati anche libri efficaci come attentati riusciti.)” Legittimo pertanto, osserva Silone a questo punto, che vi siano degli artisti e letterati impegnati a ”compiere il proprio dovere di uomini”; ma si sorpassano i limiti del lecito, se si vuol proporre tale impegno come ”una nuova teoria dell’arte o introdurre nella valutazione delle opere d’arte un criterio esteriore”; E conclude con una affermazione degna tuttora di riflessione: ”Questo ha il dovere di professare uno scrittore che, in tutto quello che ha scritto e scriverà, includerà sempre un giudizio sulla società e sugli uomini e tuttavia reputa gran fortuna per tutti l’esistenza d’artisti più sereni e puri.
Ne la nazione, ne le classi, ne alcuna forma di Stato hanno il diritto di imporre una qualsiasi direzione alla creazione artistica, la quale non può avere che nella libera critica la sua sanzione naturale. D’altronde i veri artisti non si sono mai lasciati intimidire dalle altrui teorie o dagli ordini delle autorità”. Ma vi sono altri problemi, continua Silone, sui quali ”il distacco della età nostra da quella del Mazzini e assai inferiore, o pressoché nullo” e riguardano la concezione ”della lotta per lo Stato moderno”, quella dell’autonomia delle nazioni e dei rapporti tra i popoli e, infine, ”il cosiddetto socialismo mazziniano”. Sul primo problema, dopo aver rifatto un po’ di storia delle colpe delle potenze della ”Santa Alleanza” nei riguardi dei moti insurrezionali del ’20, del ’21 e del ’30, nel Piemonte, in Ispagna, nel Napoletano, nelle Romagne, Silone accenna alle ragioni che indussero Mazzini a promuovere la società della ”Giovane Italia”, non più chiusa come quelle ”carbonare”, ma aperta al concorso popolare, nella convinzione che l’Italia potesse ”emanciparsi con le proprie forze (…) decisa a giovarsi degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l’ora e il carattere dell’insurrezione”.
Sperimentata l’ambigoita della politica del ”non intervento”, definita da lui, ”fredda, abbietta, codarda dottrina”, Mazzini non chiedeva alle potenze democratiche ”d’introdurre la democrazia con la forza delle armi nei paesi ancora sottoposti all’assolutismo”, ma che esse ”almeno impedissero agli stati assolutisti d’intervenire per rimettere sul trono i tiranni abbattuti da rivolte di popolo”. Tuttora ”di bruciante attualità” definisce Silone il pensiero di Mazzini sul rapporti tra i popoli. Una forzata interpretazione da parte del Fascismo tento di farne un apostolo del nazionalismo. Nulla di più errato e arbitrario, come fa rilevare Silone: ”Mentre il nazionalismo che delizia i nostri giorni e esclusivista, sciovinista, xenofobo, antisemita, imperialista, esaltatore del sacro egoismo in una parola, reazionario; l’idea nazionale del Mazzini era tollerante, conciliatrice, umanitaria, cosmopolitica”. Non solo le due dottrine non hanno proprio nulla di comune, ma il nazionalismo ”si e rivelato il vero nemico delle nazioni” poiché, in contrasto con la visione mazziniana di una umanità fatta di popoli liberi, autonomi, rispettosi l’un l’altro e, nei limiti della propria storia, rivolti al progresso di ciascuno.
Addirittura Mazzini giunse a sognare una ”federazione repubblicana” di popoli liberi ed eguali, fondata ”essenzialmente sulla coscienza popolare di una particolare comunità di destino”. Anche sulla ”questione sociale” Mazzini ebbe delle idee che, come ammette Silone, sembrano tuttora degne di considerazione. Sulla scorta del Salvemini, che lo annovero ”fra i precursori del socialismo moderno”, insieme a Saint-Simon, Fourier, Leroux, Pecquer e ”altri umanitari” della prima meta dell’Ottocento, Silone riconosce a Mazzini il merito di non sottrarsi ”alla necessita di escogitare un sistema economico in cui il capitale e il lavoro siano associati”. Egli si scontro con Marx e Bakunin su punti essenziali del socialismo scientifico (quali la lotta di classe, l’abolizione della proprietà privata, la dittatura del proletariato), ma – secondo Silone – sono ben valide le obiezioni e le riserve da lui avute per ”un regime economico in cui la burocrazia statale sostituisce la classe dei capitalisti e cancella ogni liberta individuale”.
Le sue ”posizioni intermedie, umanitarie, moraleggianti e riformistiche” non trovarono ascolto ne tra i capitalisti ne tra i lavoratori, gli uni arroccati nella difesa dei propri interessi, gli altri abbacinati dal miraggio della rivoluzione proletaria; ma va detto anche che alcune sue intuizioni sulla collaborazione tra lo Stato e i cittadini meritano apprezzamento ancor oggi, se e vero che ”le riforme di struttura sono indispensabili per assicurare il benessere e la democrazia della società moderna”. Avviandosi alla conclusione, Silone sostiene che, pur non potendo trovare nel pensiero del Mazzini ”la panacea dei mali presenti”, si può indubbiamente credere che l’efficacia ”del suo insegnamento non e esaurita”. Il Mazzini, e vero, ”non fu un maestro del pensiero sistematico, bensì un maestro di vita, le cui lezioni ancora oggi possono essere salutari”.
Tra i tanti avvertimenti che se ne possono ricavare, fondamentali possono dirsi questi: la liberta non deve essere intesa come un dono gratuito degli altri; la nazione e un prodotto della storia e come tale e soggetta a trasformazioni; la vitalità dei popoli non si esaurisce nelle ristrette frontiere dello Stato nazionale; la federazione europea e una necessità della nostra epoca; il benessere dei popoli va assicurato nel rispetto della liberta politica e della emancipazione sociale. Significative le ultime parole: ”Quale sorte avranno questi fermenti mazziniani nella crisi del mondo moderno? Quale sorte nella stessa Italia? E difficile dire. Il Mazzini e uno dei nostri antenati, ma non il solo. In fin dei conti, il nostro avvenire dipende da noi stessi.”……