La scala delle autorità


“La verità non è nella coscienza dei poveri ma nella loro esistenza”

Ignazio Silone afferma: «Una sera che la nostalgia si era fatta in me più pungente, con mia grande sorpresa ho trovato nell’uscio della mia abitazione, seduti contro la porta e quasi addormentati, tre ’cafoni’, due uomini e una donna (marito, moglie e figlio), che senza esitare ho subito riconosciuto per ’Fontamaresi”. Il susseguirsi dell’angosciosa sequenza del loro racconto corale, accompagnato da intreccio emotivo, viene suggellato dall’azione dei personaggi del romanzo con identica risposta corale.

Nella scala delle «autorità» Michele Zompa, rivolgendo la parola al Cav. Pelino, mette in cima a tutti: Dio. Poi il principe Torlonia. Poi le guardie del principe. Poi i cani delle guardie del principe. Poi nulla (primo grado negativo: «zero»). Poi ancora nulla (secondo grado: sotto zero»). Poi ancora nulla (terzo grado: «sotto zero»). Poi ci sono i «cafoni» (= lavoratori della terra), i quali debbono risalire i ben tre gradi del nulla. La loro umanazione e quasi impossibile.

Riusciranno infatti a risalire la scala dei valori? Avranno la forza morale per raggiungere i livelli umani? Tuttavia essi, oppressi e uccisi, si elevano a dignità di uomini liberi: cosi Teofilo, Scarpone, Venerdì Santo, Baldissera, Pasquale Cipolla e gli altri, tra i quali, alcuni prendono la via della montagna. La morte di Elvira, la fidanzata di Berardo Viola, somiglia alle fanciulle dei primi tempi cristiani trovate intatte nei sarcofaghi in profumo di verginità. Nel santuario della Madonna della Libera (Pratola Peligna AQ) Elvira fa questa preghiera: «Santissima Vergine Maria, io ti chiedo una sola cosa: intercedere per la salvezza di Berardo. In cambio ti offro l’unica povera cosa che possiedo, la mia vita». L’offerta viene esaudita e tornata a casa, «colpita da altissima febbre», muore.

Il sacrificio di Berardo Viola, infine, mette in spiccata evidenza una «grande scoperta». In Berardo, alla straordinaria forza fisica si unisce una inusitata violenza. E un personaggio apparentemente «rozzo». Tuttavia di fronte alla realtà afferma: «Sarà il primo cafone che non muore per se, ma per gli altri». La personalità del protagonista di Fontamara, quindi, si staglia al di sopra degli oppressori! I. Silone e dunque l’impareggiabile cantore delle gesta umane dei cafoni di Fontamara e del Fucino. Berardo diventa il capo carismatico nelle lotte contro la prepotenza, contro l’arroganza, contro le angherie. Egli assurge a martire della liberta. Ma per risalire la china dell’abbrutimento e dell’apatia in cui i cafoni sono caduti, quante pene, quanti lutti, quante lacrime, quante piaghe, quanto odio, quante ingiustizie, quanta disperazione essi hanno affrontato. Alla fine per, risollevandosi dall’apatia atavica di millenni, si pongono la domanda di azione: «Che fare?» La ripeteranno per ogni sopruso
subito.

Essa è una autentica risposta di rivolta contro una società brutale e opprimente, artatamente manipolata con raffinata ipocrisia da quanti detengono il potere sotto l’etichetta della istituzione. Ignazio Silone e il più alto interprete delle lotte per la Libertà, sa cogliere le voci arcane degli ideali della fratellanza, della civiltà e dell’amicizia. Si prefigge lo scopo di ricondurre 1’umanità alla genuina bellezza della natura senza veli, senza maschera, senza ombre; senza contrasti. E un commino faticoso che non si percorre soltanto dalla constatazione di fatti esterni, ma anche dall’escursione delle angolosità e delle tortuosità del mondo interiore. Tuttavia preferisce di ricostruirlo dalla narrazione dei fatti esterni, perché gli e più facile e agevole farsi capire.

Silone amava ripetere una frase di Malraux che invitava a «tradurre in coscienza il massimo possibile di esperienze» (Severina, p. 12). Si ribella al fatalismo inquinato della infezione atavica della rassegnazione Scrive in chiave di realismo esistenziale. «La verità afferma non è nella coscienza dei poveri, ma nella loro esistenza; essi vi sono murati, incorporati; da capo a piedi.» (Il seme sotto la neve. Ed. Faro p. 368); Il podestà e alcuni proprietari del vicino capoluogo hanno fatto deviare le acque di un ruscello per irrigare le proprie campagne. I Fontamaresi che si ribellano rappresentano l’uomo che raggiunge un nuovo livello di dignità lottando contro la violenza e le mistificazioni. L’acqua e il simbolo vitale del di ritto naturale e sacro alla libertà.

Testi di Don Luigi Tarola