La volpe e le camelie


L’ultimo dei tre romanzi del dopoguerra, dal titolo La volpe e le camelie, è stato scritto nel 1959 e pubblicato nel 1960, nella collana « Narratoti italiani » di Mondadori. Silone, come si ricorderà, aveva già scritto nel 1934 un breve racconto col titolo La volpe, incluso nella raccolta Un viaggio a Parigi (1936), successivamente ampliato (1957-58) e apparso a puntate nel settimanale « Il Mondo » (1959). Ripreso ulteriormente il tema del racconto, lo rimaneggia in larga parte, in altra parte lo ritocca, ne modifica e amplia il finale, fino a farne un testo essenzialmente nuovo, sia sul piano tecníco-stilístíco che su quello del significato conclusivo.

Da notate subito che è l’unico romanzo di Silone non ambientato nella Marsica, anche se ispirato al motivo della cospirazione politica, che ci riporta necessariamente alla dimensione autobiografica del mondo síloniano, così chiaramente avvertibile fin dalle prime opere. Si ritorna, in effetti, ai tempi e all’atmosfera dell’esilio, con una storia di persecuzioni raccontata col consueto amore per la libertà e, in più, con una forte propensione ad esaltare la verità e l’uomo al di là delle divergenze ideologiche. Ad un giornalista inglese che gli chiese se questo libro fosse frutto d’un diverso giudizio sulla dittatura fascista, Sílone rispose che le sue idee sul fascismo erano quelle di sempre, ma questo non gli impediva di guardare ad un fascista « come un essere umano ».

il libro ebbe un discreto successo di pubblico, se è vero che con la seconda edizione giugno 1964) raggiunse le 70.000 copie. Più riserve che aperti consensi, invece, ebbe dalla critica, probabilmente condizionata ancora dall’entusiasmo per Il segreto di Luca. Alquanto contrastato anche il successo ottenuto all’estero. Pochi i Paesi in cui fu tradotto: Francía, Germania, Svezia, Portogallo, Inghilterra, Stati Uniti, Argentina. Sceneggiato per la RAI-TV, con la regìa di Silverio Blasi, fu trasmesso nel novembre del 1966, sul canale del primo programma, con un elevato indice di gradimento.

 

LA TRAMA DEL ROMANZO

La vicenda si svolge nel Canton Tícino, negli anni ’30, con a protagonisti Daniele, proprietario d’un piccolo podere nei pressi di Locarne, Agostino, un socialista emigrato nativo di Bergamo, e Cefalù, un giovane fascista di Palermo. Daniele ha trascorso un’infanzia e un’adolescenza tormentate, prima a causa dei dissapori e dei contrasti sorti tra i propri genitori, poi per le gravi incomprensioni avute col padre. C’è da dire, infatti, che i suoi genitori, Silvia e Ludovico, formavano una coppia non ben assortita: lei, nipote di un esule italiano della Prima Internazionale, era una donna molto timida e mite, abbastanza colta e fine, amante della lettura, per nulla incline ai lavori di casa e dei campi; lui, contadino benestante, si sottoponeva ad una vita assai dura, capace di stare sul podere dall’alba al tramonto, perfino fiero di partecipare, con i suoi dipendenti, alle fatiche più pesanti. I primi anni di vita matrimoniale erano stati di relativa serenità, ma via via il piglio autoritario di Ludovico cominciò ad avere il sopravvento, fino a giudicare « ipocrisia e fiacchezza » la condotta della moglie.

Vennero a complicare il loro rapporto l’educazione liberale e l’indole insofferente del figlio Daniele, cresciuto con delle «idee estreme … sulle chiese gli eserciti e le istituzioni in genere », idee acquisite frequentando i « profughi del vicino paese di frontiera ». Ludovico cercò di dissuadere il figlio da quelle idee strane con le maniere forti, ricorrendo addirittura ai colpi di frusta, ma inutilmente. La situazione della famiglia peggiorò una sera in cui Ludovico decise di bruciare tutti i libri e i periodici che erano in casa, ritenendoli « fornite di dissipazione » e pericolosa « esca alla fantasia ». La povera Silvia ne rimase così scossa che si ammalò gravemente e in poco tempo morì. Daniele, ovviamente, abbandonò la casa subito, andando a stabilirsi a Sciaffusa, dove s’impiegò presso una fabbrica metallurgica e sposò Filomena, da cui ebbe due figlie, la prima delle quali volle chiamare come la mamma, Silvia. Rímasto solo nel suo podere, dopo che ebbe maritate le altre due figlie a « impiegatucci » di Bellínzona, Ludovico invecchíò rapidamente nella tristezza più cupa. Prima di moríre, e in seguito ad una visita fattagli segretamente dalla nipotina Silvia, scrisse a Daniele nominandolo crede del podere a condizione che ritornasse lui a coltivarlo. Daniele accettò ‘ ma tornò a fare il contadino solo dopo la morte del padre, al quale in fondo « somigliava più di quello che avesse mai sospettato ».

Dopo molti anni trascorsi in città come operaio, dunque, Daniele riprende la sua vita di contadino non senza qualche malinconia, anche se ha conservato intatti i suoi gusti e modi schiettamente campagnoli. Per le fatiche più pesanti e sgradevoli ricorre ai braccianti, ma per quelle più difficili deve sbrigarsela da solo, suscitando magari malevoli commenti dei vicini. Qualche volta chiama in aiuto Agostino, un muratore bergamasco trapiantatosi in Svizzera da molti anni, conosciuto a Sciaffusa e innamorato della sua primogenita.

Un giorno Daniele riceve una strana visita: una certa Nunziatina, detta la sartorella, già conoscente di famiglia, viene a raccontargli di uno sconosciuto, anziano e ben vestito, che si è presentato a casa sua e dopo averle fatto un misterioso discorso sul dovere di servire la patria, le ha promesso del denaro minacciando velatamente che potrebbero rifiutarle il rinnovo del passaporto e costringerla a tornare a Firenze. Daniele, fortemente stupito della faccenda, ne informa subito Agostino e insieme si convincono che deve trattarsi di una spia fascista, che bisognerà individuare al più presto, con la complicità della stessa Nunziatína.

Qualche giorno dopo, Nunziatina ha un appuntamento con un giovane venuto appositamente dall’Italia, per indagare sul gruppo degli esuli antifascisti: l’incontro è deludente perché la sartorella non è in ,grado di dare alcuna informazione di carattere politico sulle famiglie che frequenta e il giovane la lascia nauseato e stizzito per le « sciocchezze » che ha dovuto ascoltare. Non rimane deluso, al contrario, Agostino che assiste a breve distanza all’incontro e poi segue il giovane sconosciuto, tra il vivo stupore di Nunzíatina. Scomparsi dietro gli alberi d’un giardino, Agostino salta addosso al giovane e gliene dà di santa ragione. Poi, per non farsi sorprendere dalla polizia, va a nascondersi nella bottega dell’amico Franz, dove lo trova Agostino dopo una lunga ricerca. Insieme riflettono sull’accaduto e decidono di prendere il largo per qualche giorno.

Quando, tre giorni dopo, Daniele torna dai suoi, trova delle novità che un po’ lo sconcertano: durante la sua assenza è stato ospitato in casa un certo signor Cefalù, un giovane ingegnere o ragioniere di Varese, ferito in un incidente d’auto proprio davanti alla loro casa; ma la cosa che più stupisce, è che Silvia se n’è innamorata e non vuole più saperne di Agostino. Daniele non riesce a persuadersi di questo « colpo di fulmine », che invece entusiasma tanto la moglie Carmela.Vorrebbe avere una spiegazione convincente dalla stessa Silvia, la quale però cerca di evitarlo il più possibile e solo dopo diversi giorni, sollecitata ripetutamente, gli confessa che per Agostíno provava « affetto, stima, simpatia », mentre finalmente ora sa « cosa sia l’amore ». Il padre, contrariato, si limita ad obiettare che si augurava per lei « un uomo non banale », semplicemente « un uomo onesto », mentre questo giovane che va e viene attraverso la « maledetta frontiera, con passaporto regolare » non lo rassicura al riguardo; anzi, ammesso che sia vero che egli « non si occupa di politica », in un regime dittatoriale questo « è uno dei modi più comodi di essere disonesto ».

Intanto si diffondono notizie molto confuse su « una rissa politica svoltasi qualche tempo addietro » e destinata a recar danno ai due opposti partiti locali, perché potrebbe essere « un’oscura manovra diretta a turbare la serenità dell’imminente Festa delle Camelie e tale da compromettere seriamente l’affluenza dei forestieri ». All’improvviso, la « sonnolenta piccola città » viene assalita « da una ventata di panico »: se la Festa è in pericolo, il buon nome della contrada è compromesso per tutti. Bisogna dunque che radicali, socialisti e uregiatt fraternizzino « contro il pericolo comune ». Per salvare l’onore del paese e della sua gente, il Comitato della Festa chiede d’insabbiate l’inchiesta sulla rissa e il capo della polizia garantisce che non c’è nulla da temere perché l’inchiesta non è stata neppure avviata.
Ma, per ironia della sorte, a subire un gravissimo danno dalla vicenda è Nunziatína, che riceve ordine di espulsione come « indesiderabile »: eppure la sartorella è la sola persona che non sappia nulla di risse, raggiri e finzioni. Negli uffici della polizia, la poveretta cerca di far capire l’assurdità del provvedimento: ha sempre lavorato, non ha mai dato motivo di scandalo, non si è mai occupata di politica.

Ma non le si concede alcuna possibilità « di difendersi, di scolparsi, di provare se c’è stato uno sbaglio ». Costretta a rimpatriare dopo trenta anni circa di assenza da Firenze, si ritrova più sola e smarrita di sempre: « Nella mente di Nunziatina la decisione della polizia era talmente stravagante che neppure tentava di darsene una spiegazione. Era un’altra tegola sulla sua povera testa. Una disgrazia come le precedenti ». Avvilita e rassegnata alla sua sorte, chiama per telefono Daniele, che le propone di recarsi a casa sua appena possibile.

Nel cortile della casa di Daniele, Nunziatina s’imbatte nel signor Cefalù che esce di corsa e crede di riconoscere in lui il giovane del servizio, segreto fascista, col quale aveva avuto l’appuntamento. E sospetto viene confermato dal fatto che Cefalù, tornato a far visita a Silvia e avendo scoperto dei documenti interessanti tra le carte del padre, se n’è impossessato ed è andato via col pretesto di una urgenza improvvisa, lasciando Filomena e le figlie « mute, come impietrite ». Resosi conto della gravità di quanto è avvenuto, Daniele corre subito ai ripari informandone gli amici del gruppo cospirativo antifascista. Egli stesso è costretto a nascondersi, lasciando la famiglia nello smarrimento e nel dolore.

Preso appuntamento con Agostíno, Daniele lo raggiunge nella cittadina di Aarau e lo informa dell’accaduto, cominciando dal falso incidente automobilistico « e senza tacere sulla propria figlia maggiore quel poco o molto che lui sapeva ». Al nome di Silvia, Agostino ammutolisce e rattristato dal duplice colpo ricevuto, ammette: « Insomma, credevo di avergliene date, invece le abbiamo prese. Adesso come riparare? ». Per trovare i rimedi, vorrebbe capire perché portarono il ferito proprio a casa di Daniele: per un puro caso o per una scelta precisa? La risposta non è facile e ormai, più che al passato, bisogna guardare all’immediato futuro: « Siamo come due pulcini in un mucchio di stoppa » osserva Daniele, e si chiede se valga la pena costituire « una nuova base per la ripresa del lavoro ».

Daniele riappare in famiglia a tarda sera: sfinito nel fisico e nel morale, ha appena la forza di raggiungere la camera e buttarsi sul letto, senza aprir bocca. La moglie, temendo altre disgrazie, passa la notte come inebetita, fino al primo albeggiare. Al mattino un vecchietto del vicinato, venuto per dei lavori nell’orto, le porta la notizia del suicídío d’un giovane di buona famiglia, che il giorno prima si è gettato nelle acque del lago di Locarno. Il fatto ha messo un po’ in subbuglio la città, proprio alla vigilia della Festa delle Camelie. Poco dopo il giornale di Bellinzona chiarisce parzialmente il mistero: sotto il titolo « Una crisi di coscienza? » riporta alcuni brani di una lettera un po’ sibillina ritrovata, col passaporto, nell’automobile del giovane suicida, che risponde al nome di Cefalù.

Filomena, pur afflitta dal dolore, sembra come sollevata da un peso insopportabile: svanita l’ombra dell’inganno e del tradimento al senso di orrore subentra improvvisamente il sentimento della pietà. Ma si turba profondamente al pensiero che Daniele, preso dal suo fanatismo politico, possa riderne « di soddisfazione ». E invece Daniele, letta la notizia, con « voce rauca piena di compassione », si dice anch’eglí dispiaciuto « per quel povero ragazzo », e aggiunge lentamente, libero da ogni risentimento: « Non era cattivo ». Finalmente, con animo mutato dalla pietà, egli può riaccostarsi a Silvia con la tenerezza d’un padre affettuoso, e comprenderne il dolore per un amore stroncato da un così crudele destino.

Testi del prof. Vittoriano Eposito